In Lombardia, da qualche settimana, c'è
un nuovo governatore il quale , forse memore della lontana esperienza
come Ministro del Lavoro, ha inaugurato il proprio mandato
incontrando i dirigenti regionali della Triplice sindacale (alla
faccia della novità). I quali, quasi sorpresi da tale apertura ed
esposizione mediatica, non si sono risparmiati in complimenti ed
apprezzamenti. Pur facendo presente che si aspettano da lui
fondamentalmente soldi per tamponare l'emergenza sociale che, se
andrà avanti di questo passo, rischia di mettere in discussione
l'esistenza delle istituzioni nazionali e locali nonché degli stessi
sindacati storici.
Qualche organo di stampa, evocando la
consapevolezza che da sempre si ha a Milano di essere un po' il
laboratorio di tutto quanto sa produrre di nuovo il Paese, ha cercato
di personalizzare questa chance di ripresa, individuando le presunte
punte di diamante, coloro che in un futuro lontano ricorderemo
(speriamo!) essere stati protagonisti della salvezza. Un po' come
quelle squadre che, avvicinandosi i mondiali, mettono in vetrina i
loro campioni. Sappiamo però non essere infrequente che qualcuno di
essi, alla fine della rassegna, deluda , a vantaggio, magari, di
qualche altro protagonista che emerge all'improvviso da dietro le
quinte. Una delle caratteristiche dei nostri tempi è l'assunzione
dell'”impresa” quale bene assoluto. Una volta si era consapevoli
che qualsiasi evoluzione non avrebbe potuto verificarsi senza un
contributo determinante del mondo del lavoro, inteso come quello dei
dipendenti (all'epoca gli atipici non erano diffusi come ora) . Oggi,
addirittura, viene , consciamente o meno, identificato il mondo del
lavoro e della produzione come costituito unicamente dalle imprese o
dagli imprenditori. Il lavoro dipendente o precario viene percepito
come una palla al piede, gente incapace di farsi da sé, che accampa
solo diritti e si rifiuta di accettare doveri, che vuole essere
mantenuta, appunto da chi produce e tira la carretta. Ne discende la
svalutazione di tutti coloro che, ad esempio, dirigono i sindacati,
conferendo eventualmente, piccoli riconoscimenti solo a quei
sindacalisti più responsabili, disponibili al dialogo e al
compromesso con quello che una volta si chiamava padronato. Il nostro
non è ancora un paese straccione e non c'è dubbio che gran parte di
coloro che compongono la classe dirigente imprenditoriale conservano
un portamento e dei modi che ancora fanno intravvedere le tracce di
quella che tempo fa si chiamava aristocrazia industriale. Sempre in
Lombardia, anche la politica, più velocemente che altrove (siamo a
Milano, no?) ha saputo cambiare volto (solo quello). L'attuale
presidente ha ormai una lunga storia politica ed istituzionale e
certe uscite ed episodi rivoluzionari sono solo un lontano ricordo.
Sembrerebbe, quindi, uno schieramento pienamente all'altezza dei
compiti che l'attendono. Ma qualcosa ci dice che questa è soltanto
una speranza che ha poca possibilità di trasformarsi in realtà.
Anche se nel salone i balli sono ripresi, l'iceberg si avvicina e i
condottieri, per storia personale, non sono, ad una attenta analisi,
così rassicuranti. Ad esempio un tratto che li accomuna è quello
di essere dei superstiti della bufera che ha colpito i loro partiti e
associazioni. E, come accade spesso, non sono sempre i migliori a
sopravvivere ai disastri. Uno, ad esempio, è scampato a una mancata
estinzione del proprio movimento, presente solo in una parte del
paese e con obbiettivi perseguiti solo a parole ma lontani dal
tradursi in fatti, dopo una ondata di scandali e sospetti di
inquinamento ad opera della criminalità organizzata, dovendo fare
fuori un capo vecchio, stanco e malato in fretta e furia, senza un
convincente ricambio della classe dirigente. Tanto che il vecchio
governatore , appartenente agli alleati/rivali, dopo vent'anni ha
lasciato ma sarà difficile che il sistema di potere edificato lasci
poi così libero di agire chi è subentrato. Un altro si è visto
proiettato ai vertici della sua Associazione, pur , per sua
ammissione, non possedendo i requisiti del leader carismatico, dopo
la fine del mandato di una presidentessa tanto sensibile alle sirene
politiche montiane quanto incapace di cogliere il tentativo, da parte
del top manager della più grande industria italiana , solo per
perseguire interessi del proprio gruppo, di delegittimare la ragion
d'essere di quella storica associazione. Un altro di essi a sua
volta subentrato , non di recente, non per meriti propri ma per
tamponare il vuoto di un predecessore dimissionario coinvolto in
scandali e vicende giudiziarie : Egli verrà ricordato solo per
essere stato protagonista di un processo di unificazione delle
confederazioni del commercio e dell'artigianato che ha prodotto un
entità che oggi conta meno della somma degli addendi, categorie con
le quali nessun governo ha mai stretto accordi in prima battuta ma ha
solo e sempre chiesto la ratifica (irrefutabile) di intese già
raggiunte con soggetti datoriali ben più potenti. Un altro ancora,
fresco di nomina, è stato arruolato a causa dei problemi giudiziari
dell'ex presidente relativi al periodo in cui egli era a capo di uno
dei primi tre gruppi bancari del paese e oggi non trova di meglio
che prenderci in giro dichiarando da una parte che vorrà banche
indipendenti dalla politica e, subito dopo, che le stesse
perseguiranno interessi sociali tramite le fondazioni (che tutti
sappiamo essere il veicolo di influenza di certi partiti sulle banche
stesse).
Tutti questi signori,
rispettabilissimi, non ci spiegano però come sarà possibile, in
queste condizioni, che la Lombardia abbia dallo Stato e dal Governo
le risorse da redistribuire (seppur le promesse, alle parti sociali,
sono state già fatte) e cosa intendano proporre, di nuovo, nelle
relazioni sindacali, sempre che si sia convinti che un qualche
contributo, dal mondo del lavoro, quello vero, sia necessario e
desiderato. Poichè, forse non tutti se ne sono accorti, con questa
storia della CGIL e della FIOM che dicono no a tutto (e bloccano
qualsiasi modernità) da una parte e , dall'altra, che gli unici
sindacati buoni (come gli indiani) sono quelli morti (ossia quelli
che firmano con loro accordi in danno dei lavoratori) l'economia è
ferma, i soldi non si vedono più, i giovani laureati emigrano e in
mezzo rimangono lavoratori, famiglie e micro imprese con i mesi di
vita contati. Se sono questi coloro a cui dovremo affidare la ripresa
della Lombardia e dell'Italia allora potremo stare davvero freschi.