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domenica 24 marzo 2013

LOMBARDIA: NELL'ATTESA DEL NUOVO, AI LAVORATORI NON RESTA CHE PIANGERE

In Lombardia, da qualche settimana, c'è un nuovo governatore il quale , forse memore della lontana esperienza come Ministro del Lavoro, ha inaugurato il proprio mandato incontrando i dirigenti regionali della Triplice sindacale (alla faccia della novità). I quali, quasi sorpresi da tale apertura ed esposizione mediatica, non si sono risparmiati in complimenti ed apprezzamenti. Pur facendo presente che si aspettano da lui fondamentalmente soldi per tamponare l'emergenza sociale che, se andrà avanti di questo passo, rischia di mettere in discussione l'esistenza delle istituzioni nazionali e locali nonché degli stessi sindacati storici.
Qualche organo di stampa, evocando la consapevolezza che da sempre si ha a Milano di essere un po' il laboratorio di tutto quanto sa produrre di nuovo il Paese, ha cercato di personalizzare questa chance di ripresa, individuando le presunte punte di diamante, coloro che in un futuro lontano ricorderemo (speriamo!) essere stati protagonisti della salvezza. Un po' come quelle squadre che, avvicinandosi i mondiali, mettono in vetrina i loro campioni. Sappiamo però non essere infrequente che qualcuno di essi, alla fine della rassegna, deluda , a vantaggio, magari, di qualche altro protagonista che emerge all'improvviso da dietro le quinte. Una delle caratteristiche dei nostri tempi è l'assunzione dell'”impresa” quale bene assoluto. Una volta si era consapevoli che qualsiasi evoluzione non avrebbe potuto verificarsi senza un contributo determinante del mondo del lavoro, inteso come quello dei dipendenti (all'epoca gli atipici non erano diffusi come ora) . Oggi, addirittura, viene , consciamente o meno, identificato il mondo del lavoro e della produzione come costituito unicamente dalle imprese o dagli imprenditori. Il lavoro dipendente o precario viene percepito come una palla al piede, gente incapace di farsi da sé, che accampa solo diritti e si rifiuta di accettare doveri, che vuole essere mantenuta, appunto da chi produce e tira la carretta. Ne discende la svalutazione di tutti coloro che, ad esempio, dirigono i sindacati, conferendo eventualmente, piccoli riconoscimenti solo a quei sindacalisti più responsabili, disponibili al dialogo e al compromesso con quello che una volta si chiamava padronato. Il nostro non è ancora un paese straccione e non c'è dubbio che gran parte di coloro che compongono la classe dirigente imprenditoriale conservano un portamento e dei modi che ancora fanno intravvedere le tracce di quella che tempo fa si chiamava aristocrazia industriale. Sempre in Lombardia, anche la politica, più velocemente che altrove (siamo a Milano, no?) ha saputo cambiare volto (solo quello). L'attuale presidente ha ormai una lunga storia politica ed istituzionale e certe uscite ed episodi rivoluzionari sono solo un lontano ricordo. Sembrerebbe, quindi, uno schieramento pienamente all'altezza dei compiti che l'attendono. Ma qualcosa ci dice che questa è soltanto una speranza che ha poca possibilità di trasformarsi in realtà. Anche se nel salone i balli sono ripresi, l'iceberg si avvicina e i condottieri, per storia personale, non sono, ad una attenta analisi, così rassicuranti. Ad esempio un tratto che li accomuna è quello di essere dei superstiti della bufera che ha colpito i loro partiti e associazioni. E, come accade spesso, non sono sempre i migliori a sopravvivere ai disastri. Uno, ad esempio, è scampato a una mancata estinzione del proprio movimento, presente solo in una parte del paese e con obbiettivi perseguiti solo a parole ma lontani dal tradursi in fatti, dopo una ondata di scandali e sospetti di inquinamento ad opera della criminalità organizzata, dovendo fare fuori un capo vecchio, stanco e malato in fretta e furia, senza un convincente ricambio della classe dirigente. Tanto che il vecchio governatore , appartenente agli alleati/rivali, dopo vent'anni ha lasciato ma sarà difficile che il sistema di potere edificato lasci poi così libero di agire chi è subentrato. Un altro si è visto proiettato ai vertici della sua Associazione, pur , per sua ammissione, non possedendo i requisiti del leader carismatico, dopo la fine del mandato di una presidentessa tanto sensibile alle sirene politiche montiane quanto incapace di cogliere il tentativo, da parte del top manager della più grande industria italiana , solo per perseguire interessi del proprio gruppo, di delegittimare la ragion d'essere di quella storica associazione. Un altro di essi a sua volta subentrato , non di recente, non per meriti propri ma per tamponare il vuoto di un predecessore dimissionario coinvolto in scandali e vicende giudiziarie : Egli verrà ricordato solo per essere stato protagonista di un processo di unificazione delle confederazioni del commercio e dell'artigianato che ha prodotto un entità che oggi conta meno della somma degli addendi, categorie con le quali nessun governo ha mai stretto accordi in prima battuta ma ha solo e sempre chiesto la ratifica (irrefutabile) di intese già raggiunte con soggetti datoriali ben più potenti. Un altro ancora, fresco di nomina, è stato arruolato a causa dei problemi giudiziari dell'ex presidente relativi al periodo in cui egli era a capo di uno dei primi tre gruppi bancari del paese e oggi non trova di meglio che prenderci in giro dichiarando da una parte che vorrà banche indipendenti dalla politica e, subito dopo, che le stesse perseguiranno interessi sociali tramite le fondazioni (che tutti sappiamo essere il veicolo di influenza di certi partiti sulle banche stesse).
Tutti questi signori, rispettabilissimi, non ci spiegano però come sarà possibile, in queste condizioni, che la Lombardia abbia dallo Stato e dal Governo le risorse da redistribuire (seppur le promesse, alle parti sociali, sono state già fatte) e cosa intendano proporre, di nuovo, nelle relazioni sindacali, sempre che si sia convinti che un qualche contributo, dal mondo del lavoro, quello vero, sia necessario e desiderato. Poichè, forse non tutti se ne sono accorti, con questa storia della CGIL e della FIOM che dicono no a tutto (e bloccano qualsiasi modernità) da una parte e , dall'altra, che gli unici sindacati buoni (come gli indiani) sono quelli morti (ossia quelli che firmano con loro accordi in danno dei lavoratori) l'economia è ferma, i soldi non si vedono più, i giovani laureati emigrano e in mezzo rimangono lavoratori, famiglie e micro imprese con i mesi di vita contati. Se sono questi coloro a cui dovremo affidare la ripresa della Lombardia e dell'Italia allora potremo stare davvero freschi.

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